Amanita phalloides

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Tignosa verdognola
Amanita phalloides
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoFungi
DivisioneBasidiomycota
SottodivisioneAgricomycotina
ClasseAgaricomycetes
SottoclasseAgaricomycetidae
OrdineAgaricales
FamigliaAmanitaceae
GenereAmanita
SpecieA. phalloides
Nomenclatura binomiale
Amanita phalloides
(Vaill. ex Fr.) Link, 1833
Sinonimi

vedi testo

Nomi comuni

Tignosa verdognola, Tignusa morteada

Amanita phalloides
Caratteristiche morfologiche
Cappello
convesso
Imenio
Lamelle
libere
Sporata
bianca
Velo
anello e volva
Carne
immutabile
Ecologia
Commestibilità
mortale

L'Amanita phalloides (Vaill. ex Fr. - Link 1833), nota anche come Amanita falloide o Tignosa verdognola, è un fungo basidiomicete della famiglia delle Amanitaceae[1]. È uno sporoforo (fungo) mortale molto diffuso: a causa della sua tossicità estremamente elevata e del suo elevato polimorfismo, che lo rende somigliante a molte altre specie, congeneri e non (da qui i nomi popolari di Angelo della morte e di Ovolo bastardo[2][3]), lo rende uno dei funghi più pericolosi esistente in natura, il cui avvelenamento non trattato ha quasi sempre esito letale in quanto provoca danni irreversibili al fegato. Nel caso in cui si sopravviva ai suoi effetti, nella migliore delle ipotesi, si è costretti a ricorrere all'emodialisi a vita o al trapianto di fegato. La sua estrema tossicità è dovuta ad una sostanza chiamata “α-amanitina” che impedisce la formazione dell'RNA-messaggero da parte della polimerasi-II in umani e, in concentrazione maggiore, blocca anche la funzione della polimerasi-III. Al contrario, né la polimerasi-I in umani, né la polimerasi-III della stessa amanita sono soggette o vulnerabili all'azione dell'α-amanitina.

È una delle quattro amanite mortali presenti in Italia (le altre sono la verna, la virosa e la porrinensis, quest'ultima molto rara).

  1. ^ (EN) Amanita phalloides, in Index Fungorum, CABI Bioscience.
  2. ^ Funghi: Amanita Phalloides, su sardegnatipica.it.
  3. ^ Funghi velenosi: Amanita Phalloide è il più velenoso del mondo, su Blitz quotidiano, 6 giugno 2017. URL consultato il 4 gennaio 2019.

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