La caffeicoltura in Brasile è direttamente responsabile di circa 1/3 della produzione mondiale di caffè[1], rendendo in tal modo il paese di gran lunga il maggiore produttore globale; una posizione questa che ha continuato a mantenere da più di 150 anni[2]. Nel 2010 ha rappresentato il 36,14% della produzione globale, in accordo con i dati dell'International Coffee Organization[3]. Nel 2012 sono stati raggiunti e superati i 50 milioni di sacchi per un totale realizzato di 3 milioni di tonnellate, contro i 2,4 milioni del 2009 e i 2 609 040 del 2011[4].
Le piantagioni, che coprono pressappoco 27 000 km², si trovano principalmente negli Stati federati del Brasile inclusi nella Regione Sud del Brasile e nella Regione Sudest del Brasile; Minas Gerais, San Paolo e Paraná, laddove l'ambiente e il clima offrono le condizioni ideali per la crescita della coltivazione.
Le specie coltivate sono Coffea canephora (4,26% di export nel 2009)[5] e Coffea arabica (70% nel 2007)[6] con un'area complessiva che copre 2 339 630 ettari. Il numero di "ciliegie di caffè" (bacche verdi) viene suddiviso per la torrefazione, il caffè decaffeinato e il caffè solubile istantaneo ("International Coffee Agreement" del 2007).
I primi raccolti si ottennero durante la prima metà del XVIII secolo nella Colonia del Brasile; entro gli anni 1840 l'Impero del Brasile era diventato il paese dominante nella caffeicoltura. Il caffè brasiliano ha prosperato sin dall'inizio del XIX secolo, soprattutto da quando grandi masse di immigrati provenienti dall'Europa meridionale e dall'Europa orientale (tra cui molti italiani) giunsero per andare a lavorare nelle piantagioni.
La produzione mondiale toccò il suo vertice negli anni 1920, quando il Brasile offriva il 100% del caffè mondiale, per poi declinare in maniera graduale ma costante a partire dagli anni 1950 a causa della sempre maggiore produttività di altre nazioni.