«Dum loquimur fugerit invida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.[1]»
«Mentre parliamo il tempo è già in fuga, come se provasse invidia di noi: cogli l'attimo, sperando il meno possibile nel domani.»
Carpe diem è una locuzione latina tratta dall'Ode del carpe diem, dalle Odi del poeta latino Orazio (Odi 1, 11, 8), traducibile in "afferra il giorno"[2], ma spesso resa con "cogli l'attimo", traduzione non letterale ma ugualmente efficace a trasmettere il concetto che le parole latine volevano esprimere.[3][4] Viene di norma citata in questa forma abbreviata, anche se sarebbe opportuno completarla con il seguito del verso oraziano: "quam minimum credula postero" ("confidando nel / affidandoti il meno possibile al domani"). È un invito[5] a godere ogni giorno dei beni offerti dalla vita, dato che il futuro non è prevedibile, da intendersi non come invito alla ricerca del piacere, ma ad apprezzare ciò che si ha.[1][2] Si tratta non solo di una delle più celebri poesie della latinità, ma anche di una delle filosofie di vita più influenti della storia, nonché di una delle più fraintese,[6] nella quale Orazio fece confluire la sua potenza lirica. Il breve componimento, l’undicesimo del primo libro delle Odi, si presenta come un profondo avvertimento del poeta al lettore, qui la fanciulla Leuconoe, sulla natura della vita secondo i precetti della morale epicurea e della teoria del piacere.