Comitato statale per lo stato di emergenza | |
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Sigla | ГКЧП, GKČP |
Stato | Unione Sovietica |
Tipo | Comitato golpista |
Istituito | 18 agosto 1991 |
da | |
Predecessore | Gabinetto dei ministri dell'URSS, KGB, Ministero degli affari interni, Ministero della difesa, Procura generale, Comitato Centrale del PCUS |
Soppresso | 21 agosto 1991 |
Capo | Gennadij Janaev (de jure)
Vladimir Krjučkov (de facto) |
Numero di membri | 8 |
Impiegati | 8 (18 agosto 1991) |
Sede | Mosca |
Il Comitato statale per lo stato di emergenza in Unione Sovietica (in russo Государственный комитет по чрезвычайному положению в СССР, ГКЧП СССР?, Gosudarstvennyj komitet po črezvyčajnomu položeniju v SSSR, GKČP SSSR), conosciuto anche come Banda degli Otto,[1] è stato un organo autoproclamato in Unione Sovietica attiva dal 18 al 21 agosto 1991 e responsabile del Putsch di agosto. Comprendeva un certo numero di alti funzionari del governo sovietico che si opponevano alla politica della perestrojka perseguita dal presidente dell'URSS Michail Gorbačëv, nonché alla firma di un nuovo trattato d'unione e alla trasformazione dell'URSS nell'Unione degli Stati Sovrani. I principali oppositori del GKČP erano i sostenitori del presidente della RSFS Russa Boris El'cin, che dichiarò incostituzionali le azioni dei membri del Comitato. Dopo la sconfitta e l'auto-scioglimento del GKČP, le loro azioni furono condannate dalle autorità legislative ed esecutive dell'URSS, della RSFSR e di un certo numero di altre repubbliche sovietiche, e qualificate come un colpo di stato. Nella storiografia, l'insieme degli eventi tra il 18 e il 21 agosto 1991 è stato definito "putsch di agosto" (in russo Августовский путч?, Avgustovskij putč).
Dal 22 al 29 agosto 1991, gli ex membri del disciolto GKČP e i loro collaboratori furono arrestati, ma dal giugno 1992 al gennaio 1993 furono tutti rilasciati a condizione di non lasciare la neonata Federazione russa.[2][3][4][5] Nell'aprile 1993 iniziò il processo e il 23 febbraio 1994 gli imputati nel caso GKČP furono amnistiati dalla Duma di Stato nonostante l'obiezione di El'cin.[6][7][8] Uno degli imputati, Valentin Varennikov, rifiutò l'amnistia e continuò il processo, alla fine vinto da lui.