Coson (o Koson, dal greco ΚΟΣΩΝ delle legende monetarie) è stato un re geto-dace del I secolo a.C., che alcuni identificano con Cotisone. Fu uno dei quattro – o forse cinque[1] – evanescenti epigoni di Burebista che si spartirono il regno geto-dace, la cui unità si dissolse appena dopo la morte del grande fondatore[1]: Coson, insieme a Cotisone e Comosicus[2], si insediò nella parte sud-occidentale del regno, mentre a Dicomes spettò la parte sud-orientale.[1]
L'eventuale identificazione con Cotisone, respinta da molti[3], rivelerebbe un collegamento di Coson con Ottaviano, il futuro imperatore Augusto, che proprio con Cotisione intavolò trattative matrimoniali per la figlia Giulia maggiore e per se stesso[4].
A causa della carenza di fonti testuali che riguardano la storia dei Geti e dei Daci, molti degli importanti nomi collegati alla loro civiltà rimangono ignoti o controversi. Non fa eccezione nemmeno questo re, la cui consistenza storica, al pari degli altri epigoni del grande Burebista, è poco più che una pallida ombra.[1]
La controversia che lo riguarda nacque non appena iniziarono a essere scoperti esemplari di vistose monete auree, dal diametro di 20 mm., contenenti, in esergo, la legenda ΚΟΣΩΝ (KOSON) in caratteri greci. Monete simili furono rinvenute in gran numero in Transilvania e queste scoperte catturarono l'attenzione degli scrittori fin dal XVI secolo. Così, vi sono commenti di Erasmo da Rotterdam nel 1520 e di Stephanus Zamosius (István Szamosközy) nel 1593.
L'annosa discussione verte su diversi punti: il significato da attribuire alla legenda monetale Koson, il nome di chi abbia battuto queste monete, e l'individuazione delle zecche artefici della coniazione. Le ipotesi avanzate nel tempo sono state le più varie: è stata anche suggerita una loro appartenenza alla monetazione medioevale[5], mentre in passato, uno studioso come Mommsenn, ha perfino avallato l'accattivante ipotesi di un presunto collegamento con l'assassinio di Giulio Cesare.
Gli studi più recenti, coadiuvati da alcuni risultati di indagini spettrofotometriche sul contenuto in tracce della lega aurea, sembrano avvalorare l'ipotesi di una coniazione avvenuta in zecche locali. Si apre così un mistero: l'inspiegabile inutilità di simili monete auree, dall'aspetto appariscente, ma di difficile utilizzazione corrente in quel contesto geografico (ostentative e inutili, secondo la definizione di Crawford[6]), in cui rimangono peraltro un fenomeno unico, isolato, frutto di una stagione monetaria di breve durata. L'eccezionalità episodica di questo fenomeno rimarca il divario tra la Dacia e la vicina Tracia: solo in quest'ultima, infatti, il processo di «formazione dello stato»[6] era riuscito a dar luogo a una realtà economico-statuale più organizzata, con «strutture fiscali in grado di sostenere coniazioni complesse, con varietà di denominazioni»[6].
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