Crisi finanziaria asiatica

I paesi più interessati dalla crisi finanziaria del 1997.

La crisi finanziaria asiatica fu una crisi finanziaria che interessò alcuni paesi del Sud-Est asiatico[1] alla fine del XX secolo, tra il 1997 e il 1998.

Causata da una serie di speculazioni finanziarie che provocarono una forte svalutazione della moneta e lo sganciamento delle divise interessate dal valore del dollaro, la crisi fu causata dal pesante indebitamento del settore privato (banche e imprese),[2] che provocò il ritiro improvviso dei capitali (tecnicamente un deflusso) da parte degli investitori stranieri e degli istituti di credito.[3]

La crisi si manifestò in vari aspetti: dall'attacco speculativo sulle valute dei paesi interessati, causandone un significativo deprezzamento, al crollo del mercato azionario e immobiliare, fattori che furono accompagnati da catene di fallimenti di imprese, banche e istituzioni finanziarie. Essa, scaturita dal settore finanziario, si ripercosse con serie conseguenze sull'economia e sul piano sociale (aumento della disoccupazione, carovita), non determinando tuttavia un impatto di grande portata sulle bilance di pagamenti (i disavanzi furono sostanzialmente contenuti dal freno alle importazioni indotto dalla recessione) e sulla crescita economica, che anzi furono susseguentemente beneficiate dalla riduzione del valore delle divise e dalla diminuzione dei prezzi delle esportazioni, complice anche una congiuntura di bassi costi del petrolio.[4] Negli anni successivi i paesi interessati dalla crisi sarebbero passati dalla condizione di debitori netti a quella di creditori, testimoniata dal raggiungimento del saldo positivo delle parti correnti con l'estero.[5]

L'inversione del flusso di capitali tra il 1996 e il 1997 ammontò a circa 105 miliardi di dollari, più del 10% del Pil di tutte le economie asiatiche.[6] I flussi finanziari nelle economie della regione dell'Asia orientale e del Pacifico passarono dai 26 miliardi di dollari del 1990, ai 100 miliardi del 1997. Molti dei fondi di questi flussi erano costituiti da Investimenti diretti esteri e da prestiti bancari. Ai fini della crescita economica, gran parte di questa liquidità apparve in eccesso rispetto alle capacità e alle esigenze del sistema economico, andando ad alimentare uno sviluppo essenzialmente speculativo (in particolare nel settore immobiliare, come rivelò il caso thailandese, cui si rimanda appresso), che tuttavia contribuì alla portata generale e ai risvolti successivi del cosiddetto "miracolo asiatico" (o delle "tigri asiatiche").[6]

  1. ^ I paesi interessati furono: Thailandia, Indonesia, Malaysia, Corea del Sud, Filippine e di riflesso Nuova Zelanda, Hong Kong, Singapore e Giappone, mentre Cina e Taiwan non ebbero ripercussioni dalla crisi.
  2. ^ Larry Allen, Il sistema finanziario globale. Dal 1750 ad oggi, su books.google.it, 211-212. URL consultato il 25 ago 2013.
  3. ^ Tale deflusso seguì l'invasione dei capitali esteri, determinata dalle politiche di liberalizzazione del mercato finanziario adottate da questi paesi all'inizio degli anni novanta, sotto l'impulso del Tesoro statunitense e del FMI. Non si tenne conto della natura pro-ciclica di questi capitali, ovvero del fatto che l'andamento di questi flussi si adegua ai cicli economici, a seconda che siano favorevoli o sfavorevoli. In una situazione di contrazione economica, come poi è accaduto, la crisi ha provocato l'inversione dei flussi (il ritiro improvviso da parte dei mercati), non una maggiore loro iniezione, come sarebbe stato necessario in un momento di credit crunch e di recessione.
  4. ^ (EN) Paul R. Krugman, Maurice Obstfeld, Economia internazionale, Volume 1, su books.google.it, 130 s. URL consultato il 25 ago 2013.
  5. ^ Robert N. McCauley, Flussi di capitali nell’Est asiatico dalla crisi del 1997 (PDF), su bis.org, 43-45 s. URL consultato il 25 ago 2013.
  6. ^ a b Joseph E. Stiglitz, Bruce Greenwald, Verso un nuovo paradigma dell'economia monetaria, su books.google.it, 315-316 s. URL consultato il 26 ago 2013.

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