Eccidio di Santa Giustina in Colle strage | |
---|---|
Tipo | Esecuzione |
Data | 27 aprile 1945 13:00 ca. – 13:30 ca. (UTC+2) |
Stato | Italia |
Regione | Veneto |
Provincia | Padova |
Comune | Santa Giustina in Colle |
Responsabili | Truppe tedesche |
Motivazione | Rappresaglia |
Conseguenze | |
Morti | 24 morti |
L'eccidio di Santa Giustina in Colle, comune a nord di Padova, fu una strage compiuta da militari tedeschi il 27 aprile 1945. Costò la vita a ventiquattro tra civili e partigiani del comune e di quelli limitrofi, compresi i due sacerdoti della parrocchia. Diciassette o diciotto[1] persone furono fucilate non lontano dalla parete sud della chiesa ed altre cinque in diverse zone del paese, ma nel numero complessivo delle vittime vengono abitualmente compresi anche due abitanti del paese uccisi a Villa del Conte. Due giorni dopo, quest'ultima località e i vicini comuni di San Giorgio in Bosco, San Martino di Lupari e Castello di Godego furono teatro di una seconda e più efferata rappresaglia nazifascista, che fece circa 125 vittime fra civili e partigiani. La maggior parte di costoro cadde per mano di militari della 29ª Panzergrenadier Division "Falcke", agli ordini del generale Fritz Polack, in precipitosa ritirata dal fronte.[2]
Ormai in rotta, le truppe tedesche spesso rispondevano ai boicottaggi e alle imboscate partigiane con atti di crudeltà. Inizialmente si ritenne che a scatenare l'ira dei tedeschi fosse stata l'uccisione di due soldati per mano dei partigiani locali. I tedeschi, come misura di ritorsione, avrebbero applicato le spietate disposizioni di Kesselring ("dieci italiani uccisi per ogni tedesco morto"[1]), passando per le armi, nel pomeriggio del 27 aprile, una ventina di uomini del posto, insieme al parroco ed al giovane cappellano.[3]
In un secondo momento ha preso piede la versione secondo cui non furono le direttive di Kesselring a determinare la strage, bensì sia stato il desiderio di vendetta della collaborazionista Ada Giannini e la volontà dei tedeschi di punire il paese per l'insurrezione partigiana e insieme di garantire l'agibilità delle strade in vista della ritirata dei loro commilitoni dal fronte.[1]
All'inizio del XXI secolo, la disponibilità di nuovi documenti dell'epoca porta a dedurre che l'eccidio non sia stata una ritorsione nazista per l'avvenuta uccisione di due militari ad opera dei partigiani agli ordini di Graziano Verzotto.[4] Secondo lo storico Egidio Ceccato, infatti, un solo soldato germanico avrebbe perso la vita a Santa Giustina in Colle nei giorni dell'insurrezione – precisamente il 26 aprile – e poiché il suo cadavere fu provvisoriamente inumato nel locale cimitero, i commilitoni sopraggiunti sarebbero venuti a conoscenza della sua sorte.[1] A suo giudizio, sul processo di colpevolizzazione dei resistenti locali avrebbe influito molto anche il convincimento popolare che i partigiani dovessero riservare "ponti d'oro al nemico che fugge", mentre è storicamente assodato che le direttive alleate prevedevano l'esatto contrario. In ogni caso il massacro sarebbe stato opera di militari del presidio germanico di Castelfranco Veneto[2] e non di soldati della Wehrmacht in ritirata dal fronte.