L'embriologia umana, come del resto l'embriologia in genere, studia lo sviluppo embrionale, cioè le primissime fasi della vita, che hanno inizio con lo zigote. Il termine embrione viene utilizzato con significati non sempre coincidenti. Le prime fasi di sviluppo dell'organismo umano comunque sono universalmente definite: zigote, morula, blastula e gastrula. La letteratura scientifica è abbastanza concorde invece nello stabilire la fine della fase embrionale attorno alla nona - dodicesima settimana, quando, sino al momento del parto, si parla correttamente di feto.
L'Organizzazione mondiale della sanità ha comunque stabilito, sulla base della letteratura scientifica internazionale, che dopo la fecondazione e fino all'incirca al quattordicesimo giorno, il prodotto del concepimento potrebbe dividersi dando vita a un parto con più nascituri, il che, insieme ad altre considerazioni (per esempio legate all'impossibilità di stabilire quali cellule formeranno la placenta e quali il nascituro) porta alcune correnti di pensiero ad affermare che non si può parlare di embrione nel senso di futura persona prima del 14º giorno di gestazione. In questo caso parte della comunità scientifica definisce questo come stadio pre-embrionale.[1]
Lo studio delle modalità tramite le quali a partire da due cellule sessuali chiamate gameti si possa ottenere naturalmente un organismo vivente adulto, normalmente capace a sua volta di riprodursi, è oggetto di studio della disciplina scientifica denominata biologia dello sviluppo, disciplina scientifica di cui l'embriologia umana, così come l'embriologia generale, fanno parte.