Giovanni Beatrice

Giovanni Beatrice detto Zanzanù (Gargnano, 23 aprile 1576Tignale, 17 agosto 1617) è stato un brigante italiano, suddito della Repubblica di Venezia.

Giovanni Beatrice, in maniera analoga allo zio Giovan Francesco Beatrice detto Lima, può essere a ragione considerato una figura emblematica di quel mondo del banditismo che nel corso dell’età moderna si rintraccia in molti paesi dell’area Mediterranea [1]. La forte azione repressiva condotta contro di lui contribuì in un certo senso a dilatare la sua immagine di fuorilegge, che già nel corso della sua vita crebbe in misura tale da entrare nella dimensione del mito. Un mito che incontrò nella popolazione più umile della riva occidentale del Garda un punto di riferimento costante; ma che diede pure luogo ad una narrazione contraddistinta da una retorica fortemente negativa veicolata dalle numerose sentenze pronunciate contro di lui[2]. Sentenze che vennero acriticamente riprese nel corso degli ultimi due secoli da una letteratura che erroneamente tendeva a equiparare la persona esclusa dalla comunità a seguito della pena del bando alla più nota figura del brigante ottocentesco.

Fu uno dei più noti e temuti banditi della Serenissima ritenuto a torto responsabile, con la sua banda, tra il 1602 e il 1617 di circa 200 omicidi. Così infatti appare dalla testimonianza del bandito e sicario Alessandro Remer di Malcesine, il quale fu assoldato nel 1609 da un gruppo di mercanti di Desenzano del Garda per sterminare la cosiddetta banda degli Zannoni.[3] Dalle ventidue sentenze di bando pronunciate dalle magistrature veneziane contro il Beatrice, dal 1605 al 1616, si può invece evincere come gli omicidi a lui sicuramente attribuiti non raggiungessero la decina e tutti commessi negli anni 1605-1609 soprattutto nei confronti di coloro che si erano resi autori dell'uccisione del padre.[4] È questa l'immagine che traspare dalle fonti giudiziarie che testimoniano sia le numerose sentenze inflitte contro di lui, che l'attività degli spietati cacciatori di taglie protesi a conseguire premi e benefici offerti dalla Repubblica di Venezia in cambio della sua uccisione. In realtà, un esame più accurato delle stesse fonti permette di delineare la figura di un uomo che divenne fuorilegge per difendere il suo onore e quello della propria famiglia. Una figura di bandito che divenne ben presto leggendaria anche per la consapevolezza che, negli anni stessi della sua vita, la popolazione più umile dei centri del Garda ebbe dei soprusi e delle ingiustizie che vennero commesse nei suoi confronti.[5] Le vicende della vita di questo uomo e l'estrema complessità delle relazioni sociali entro cui si svolsero si costituiscono emblematicamente come la rappresentazione significativa delle trasformazioni che investirono in tutta Europa la pena del bando, determinando il passaggio della figura del bandito tradizionale e delle dinamiche conflittuali che la animavano, in quella del fuorilegge considerato pericoloso nemico della tranquillità sociale.

  1. ^ Eric Hobsbawm, Bandits, Weidenfeld & Nicolson, London 1969., vol. 9, 1968, pp. 7-18.
  2. ^ Pompeo Molmenti, I banditi della Repubblica Veneta, Vittorio Veneto, De Bastiani ed., 1980 (rist. anast.), p. 279; ; G. Di Giovine., Provveditori e banditi nella Magnifica Patria, Salò, Sistema bibliotecario Alto Garda, 1980, pp. 71-78..
  3. ^ Archivio di stato di Venezia, Consiglio dei dieci, Comuni, filza 272, 7 sett. 16017
  4. ^ Archivio di stato di Venezia, Consiglio dei dieci, Comuni, filza 313, 20 ottobre 1617.
  5. ^ Povolo, Zanzanù. Il bandito del lago…, pp. 69-71.

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