Gladiatore

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il mosaico di Zliten rinvenuto a Zliten raffigurante gladiatori.
Da sinistra a destra si riconoscono: un trace che combatte con un mirmillone; un hoplomachus accanto ad un mirmillone privato dello scudo che segnala all'arbitro la propria sconfitta; un altro mirmillone impegnato a combattere.

Il gladiatore (in latino gladiātor) era un particolare lottatore dell'antica Roma. Il nome deriva da gladio, la spada utilizzata dai legionari romani utilizzata anche dai lottatori. I gladiatori combattevano in specifici spettacoli chiamati munera per la realizzazione dei quali si sviluppò la struttura architettonica dell'anfiteatro.

L'origine della figura del gladiatore è ricollegata all'istituzione del cosiddetto munus (al plurale munera, da cui il nome degli spettacoli), il dovere/obbligo dovuto dalle famiglie benestanti ai propri defunti, durante le quali uomini armati, alla presenza di un arbitro, si battevano per onorare il defunto.[1] Legati all'iniziativa dei privati e comunque destinati al popolo romano, i munera erano in origine distinti dai Ludi, gli spettacoli sponsorizzati dallo Stato. L'origine dei munera è ancora oggetto di dibattito, seppur si tenda a leggerla come una pratica proveniente dall'Etruria[2] o dalla Campania[3] poi adottata dai Romani. Se ne hanno testimonianze sistematiche a partire dai riti funebri romani durante le guerre puniche (III secolo a.C.) e da allora in poi divennero rapidamente un elemento essenziale della politica e della vita sociale del mondo romano. Col tempo infatti questi combattimenti persero l'originale connotazione di cerimonia funebre e si trasformarono in spettacoli di massa offerti da facoltosi personaggi e dall'imperatore stesso, assumendo spesso la funzione di propaganda politica per procurarsi consenso ed accrescere il proprio prestigio,[4] divenendo forse il più iconico esempio di quell'influente meccanismo di potere efficacemente descritto dalla nota locuzione di Giovenale panem et circenses.[5] Entrati de facto nel novero dei Ludi in epoca imperiale, i munera, ormai controllati dallo Stato, potevano essere ordinaria, previsti cioè in occasione di certe festività, o extraordinaria per celebrare particolari occasioni.[6]

La tradizione dei munera corse parallelamente alla storia repubblicana ed imperiale di Roma per circa sette secoli, raggiungendo il loro apice tra il I secolo a.C. e il II secolo d.C., finché l'imperatore Onorio ne ordinò l'abolizione nel 404[7] e Valentiniano III li proibì definitivamente nel 438.[8]

I munera, certamente mortali, erano molto regolamentati e non somigliavano per niente alla rappresentazione presentata dai film di Hollywood. Tuttavia, gli stessi romani si interrogarono molto presto sull'interesse e la legittimità di un tale spettacolo. Alla gladiatura necessitava, in effetti, il riconoscimento ai diritti legati alla cittadinanza romana; ma ciò era pressappoco un'eresia per i romani. Per certuni, il gioco valeva la candela poiché la gloria e la fortuna raccolta nell'arena erano veramente considerevoli. Non bisogna però confondere i combattimenti di gladiatori con i veri spettacoli nei quali venivano impiegati animali selvatici (le venationes) o venivano proposte ricostruzioni di battaglie, come le naumachie. Parimenti, è importante ricordare che i munera non furono praticati uniformemente nelle terre dell'Impero romano: in Egitto e in Medio Oriente, in particolare, lo spettacolo principe restò sempre la corsa dei carri, in uso anche a Roma. Gli storici studiano ormai con una nuova ottica più sportiva la gladiatura romana,[9] in netta contrapposizione alla storiografia classica, influenzata dalla fede cristiana, molto ostile a certe pratiche.

  1. ^ Meijer 2006, pp. 5-7.
  2. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore ETRUSCHI
  3. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore CAMPANIA
  4. ^ Meijer 2006, p. 15.
  5. ^ Giovenale, 10.81.
  6. ^ Facchini S, I luoghi dello sport nella Roma antica e moderna, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, 1990, p. 54.
  7. ^ Guidi 2006, p. 24.
  8. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore :18
  9. ^ Jacobelli 2003.

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