La grammatica normativa (detta anche grammatica prescrittiva) stabilisce una serie di norme basate sul modello di lingua proposto dalle persone colte e dalla letteratura: norme atte a regolare la fonologia, la morfologia e la sintassi di una lingua; a questi livelli d'analisi si aggiunga l'ortografia[1] (relativa alla grafematica), nella quale si fanno rientrare le regole di buona scrittura e di punteggiatura.
Differentemente da quella descrittiva, interessata a spiegare i fenomeni linguistici per come sono (senza stabilire cosa è giusto o da evitare), la grammatica normativa offre un'analisi sistematica delle parti del discorso[2] e impone regole fondate sulle convenzioni e l'uso degli autori più prestigiosi ma anche, implicitamente, sulla logica intrinseca -semantica (e quindi concettuale) nonché fonetica (che considera ripetizioni, assonanze, ecc.)- delle parole e proposizioni[3].[4]
- ^ dal gr. ὀρθός (orthòs, "corretto") e γραφία (grafìa, "scrittura")
- ^ Secondo la grammatica tradizionale, sei variabili (articolo, sostantivo, aggettivo, pronome, numerali, verbo) e quattro invariabili (avverbio, preposizione, congiunzione, interiezione).
- ^ Quest'ultima regola, intrinsecamente legata alla funzione stessa del linguaggio, viene oggi, dall'avvento della pubblicabilità immediata di un testo su Internet, regolarmente ignorata, si direbbe 'non percepita', anche dalle firme più qualificate, con gravissimo pregiudizio, già largamente visibile, per la comprensibilità di un testo o di informazioni critiche nonché per le capacità di giudizio, motivazione e azione delle persone, tutti fenomeni 'babelici' alla base del degrado sociale e del crollo delle civiltà.
- ^ Quale esempio di grammatica descrittiva e normativa, si consideri l'espressione "a me mi": la g. descrittiva la studierà spiegandone il funzionamento e il registro d'appartenenza, mentre la g. normativa la discriminerà come errore (nel caso specifico, proprio perché illogica ripetizione semantica).