Durante la cosiddetta "monarchia di luglio" (1830–1848), il Parlamento francese iniziò ad avere un ruolo più centrale nella vita politica del Paese. Mentre durante la Restaurazione (1815–1830) il potere esecutivo e legislativo era rimasto sostanzialmente nelle mani del sovrano,[1] che seppur limitato tendeva a nominare governi affini alla sua volontà e ideali politici,[2] sotto il regno di Luigi Filippo si era avuta una svolta in senso costituzionale delle istituzioni, dove il re nominava il governo ma tenendo sempre conto degli equilibri e delle forze presenti nella Camera dei deputati, nelle parole del nuovo sovrano una "aurea moderazione" tra la democrazia popolare e le prerogative del sovrano.[3]
La trasformazione della monarchia in senso costituzionale, con la necessità del voto di fiducia per ogni governo, trasformò il dibattito politico da una contrapposizione parlamento-sovrano in un esercizio intraparlamentare,[4] dove i vari esponenti politici si dividevano in gruppi, guidati da figure di spicco, che si scontravano o accordavano nelle nomine dei ministri di un governo. Ad eccezione dei due poli estremi, ovvero i repubblicani a sinistra ed i legittimisti (fedeli al vecchio regime) a destra, i restanti gruppi che già da prima erano uniti nell'opposizione liberale alla svolta autocratica di Carlo X ora formavano i vari partiti di una sorta di "arco costituzionale": benché tutti Orléanisti (quindi leali al sovrano), si dividevano in gruppi liberali, conservatori e centristi costantemente in lotta per la guida del governo ed il favore del sovrano, che pure mal vedeva i tentativi di "parlamentizzare" e l'eccessivo poteri dei vari leader politici.[5][6]