Impianto dentale

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Impianto dentale
Procedura chirurgica
Impianto inserito in sede con abutment temporaneo di guarigione
TipoProcedura di chirurgia odontoiatrica
ICD-9-CM23.5 e 23.6
MeSHD015921

L'impianto dentale (noto anche come impianto endosseo, sebbene questa definizione sia impropria poiché esistono anche impianti che non sono endossei ma juxtaossei o sottoperiostei) è un dispositivo medico di tipo chirurgico utilizzato per riabilitare funzionalmente ed esteticamente la perdita o la mancanza congenita di uno o più denti, permettendo il sostegno di un sostituto protesico tramite il supporto diretto dell'osso grazie a un processo biologico noto come osteointegrazione; può essere inserito sia nella mandibola che nella mascella.

Secondo i principi originali della scuola svedese l'impianto viene inserito immediatamente, in modo che l'osteointegrazione avvenga più facilmente, mentre solo dopo viene aggiunta la protesi dentale visibile; è quindi necessaria una quantità variabile di tempo per arrivare a una corretta osteointegrazione.[1] Questo vale solo per l'implantologia a carico differito ed era vero, per tale implantologia, sino a quando i rigidi protocolli Branemarkiani non sono stati modificati. L'implantologia di scuola italiana, precedente alla svedese, a carico immediato obbligato, prevede che l'impianto appena inserito, presentando già il moncone in blocco col corpo implantare endosseo, venga munito immediatamente di protesi.

Il tipo più comunemente utilizzato è formato da una o più sezioni, di forma usualmente variabile tra cilindrica e tronco conica, ed è fornito spesso nella sua parte endossea di spire o altri elementi di ritenzione accessori. Può essere utilizzato per il supporto di corone protesiche singole e ponti, fino ad arcate complete. Il materiale più frequentemente utilizzato è il titanio nella sua forma commercialmente pura, in quanto permette una migliore osteointegrazione, andando a formare un intimo legame con l'osso. Modelli semplificati e di dimensioni ridotte (chiamati perciò mini impianti o miniviti) vengono inoltre utilizzati per fornire stabilità a protesi mobili e in ortodonzia per fornire punti di appoggio temporanei di ancoraggio necessari ai movimenti dentali.

Il successo o il fallimento degli impianti dipende sia dallo stato di salute della persona che lo riceve, dagli eventuali farmaci assunti e che hanno un possibile impatto con l'osteointegrazione e la condizione dei tessuti della bocca. Lo stress meccanico a cui l'impianto andrebbe incontro durante la sua vita deve essere attentamente valutato. La corretta pianificazione della posizione e del numero degli impianti è fondamentale per la salvaguardia a lungo termine della protesi, in quanto le forze biomeccaniche che agiscono durante la masticazione possono essere significative. La posizione degli impianti è determinata dalla posizione e dall'angolo dei denti adiacenti, da simulazioni di laboratorio o mediante l'utilizzo della tomografia computerizzata (spesso tramite apparecchiature CBCT) con simulazioni CAD/CAM e guide chirurgiche.

I prerequisiti per il successo a lungo termine degli impianti dentali osteointegrati sono l'avere osso e gengiva sani. Dal momento che entrambi possono atrofizzarsi dopo una procedura di estrazione dentaria, a volte si rende necessario ricorrere a innesti gengivali o rialzi di seno mascellare al fine di ricreare condizioni ideali di osso e gengiva. La protesi finale può essere fissa o rimovibile; in ogni caso un moncone è collegato all'elemento di impianto. Quando la protesi è fissa viene fissata al pilastro o con una vite prigioniera o con cemento dentale, mentre quando è invece rimovibile un corrispondente adattatore viene inserito nella protesi in modo che i due pezzi possono essere fissati insieme.

I rischi e le complicanze legate alla terapia implantare si dividono tra quelle che si verificano durante l'intervento chirurgico (come un eccessivo sanguinamento o la lesione del nervo), quelle che si verificano nei primi sei mesi (come l'infezione e la mancata osteointegrazione) e quelle che si verificano a lungo termine (come la perimplantite e rotture meccaniche). In presenza di tessuti sani, un impianto ben integrato con opportuni carichi biomeccanici può avere un tasso di successo a lungo termine tra il 93% e il 98% per il fissaggio[2][3][4] e una durata[5] da dieci a quindici anni per i denti protesici.[6]

  1. ^ Bedini R, et al, Protocollo preliminare di analisi microtomografica in vitro dell’interfaccia osso-impianto dentale (PDF), in Rapporti ISTISAN, vol. 9, n. 39, Istituto Superiore di Sanità, 23 dicembre 2009. URL consultato il 12 dicembre 2013 (archiviato dall'url originale il 24 dicembre 2013).
  2. ^ Papaspyridakos, P.; Mokti, M.; Chen, C. J.; Benic, G. I.; Gallucci, G. O.; Chronopoulos, V, Implant and Prosthodontic Survival Rates with Implant Fixed Complete Dental Prostheses in the Edentulous Mandible after at Least 5 Years: A Systematic Review, in Clinical Implant Dentistry and Related Research, vol. 11, n. 5, Jan 2013, pp. 705–717, DOI:10.1111/cid.12036, PMID 23311617.
  3. ^ Berglundh, T.; Persson, L.; Klinge, B., A systematic review of the incidence of biological and technical complications in implant dentistry reported in prospective longitudinal studies of at least 5 years, in Journal of clinical periodontology, vol. 29, Suppl 3, 2002, pp. 197–212, DOI:10.1034/j.1600-051X.29.s3.12.x, PMID 12787220.
  4. ^ Pjetursson, B. E.; Thoma, D.; Jung, R.; Zwahlen, M.; Zembic, A., A systematic review of the survival and complication rates of implant-supported fixed dental prostheses (FDPs) after a mean observation period of at least 5 years, in Clinical Oral Implants Research, vol. 23, 2012, pp. 22–38, DOI:10.1111/j.1600-0501.2012.02546.x, PMID 23062125.
  5. ^ Happy Smile, Impianto dentale: quanto può durare.
  6. ^ Bozini, T.; Petridis, H.; Garefis, K.; Garefis, P., A meta-analysis of prosthodontic complication rates of implant-supported fixed dental prostheses in edentulous patients after an observation period of at least 5 years, in The International journal of oral & maxillofacial implants, vol. 26, n. 2, 2011, pp. 304–318.

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