Infarto miocardico acuto nella donna | |
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Raffigurazione schematica di un infarto per occlusione distale dell'arteria discendente anteriore (A), uno dei due rami dell'arteria coronaria sinistra. Possibile ulcerazione di placca con aumentata adesività piatrinica e occlusione del lume vasale.(B)La zona interessata è l'apice del ventricolo sinistro: zona in grigio. | |
Classificazione e risorse esterne (EN) | |
ICD-9-CM | 410 |
ICD-10 | I22 e I21 |
L'infarto miocardico acuto nella donna è una delle manifestazioni cliniche più probabili, insieme all'angina instabile, nella cardiopatia ischemica al femminile. La patologia ischemica è in genere considerata tipica del sesso maschile per la minor prevalenza nella donna nel periodo pre-menopausale, infatti, gli estrogeni esplicano il loro effetto protettivo attraverso alcuni meccanismi ormai noti:
Nonostante ciò la cardiopatia ischemica è la prima causa di morte nella donna nei paesi occidentali[1][2][3], dove negli ultimi anni vi è un calo globale della mortalità, ma questo miglioramento della prognosi ha riguardato prevalentemente il sesso maschile, così che dal 1984 in poi la mortalità/anno è aumentata nelle donna, causa fondamentale l'età più avanzata del primo evento.[4]
Fino a qualche anno fa negli studi clinici controllati e randomizzati la percentuale femminile è sempre stata piuttosto ridotta e le strategie utilizzate fanno riferimento, nella maggior parte dei casi, a parametri di normalità degli esami di laboratorio e strumentali e a fattori di rischio, riferiti alla popolazione maschile.[5] Spesso i sintomi sono sottovalutati anche dalle stesse pazienti, nonché nei centri di Pronto Soccorso: studi retrospettivi americani e progetti condotti in alcune regioni italiane[6], hanno evidenziato un'alta percentuale di dimissioni per dolore toracico ,oltre il 50%, che venivano poi ricoverate per un evento ischemico cardiaco nei sei mesi successivi con una percentuale che ha toccato percentuali del 70-75%.[7][8]
Per una corretta stratificazione del rischio nella donna è meglio valutare il rischio globale, piuttosto che i singoli fattori, in questo modo possiamo tener conto di variabili presenti esclusivamente nel genere femminile: malattie auto immuni e reumatologiche, patologie tiroidee, malattie scheletriche come l'osteoporosi e neurodegenerative. Queste patologie riconoscono probabilmente un comune denominatore in ragione dello stato infiammatorio sottostante e dell'uso di farmaci che aumentano il rischio cardiovascolare.