Le mille e una notte

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Le mille e una notte
Ritratto del sultano Shahriyar e della principessa Shahrazàd (di Sani ol molk; 1849-1856 circa).
AutoreAA.VV.
1ª ed. originalecirca 900 d.C. (prime raccolte indiane), 1400 (edizione definitiva)
Genereraccolta di novelle
Lingua originalearabo, persiano (medio-persiano)
ProtagonistiShahrazād, la principessa che racconta al sultano Shahrīyār le sue storie
Frontespizio di un'edizione francese de Le mille e una notte.

Le mille e una notte (in arabo ألف ليلة وليلة?, ʾAlf layla wa layla; in persiano هزار و یک شب‎, Hezār-o yek šab) è una celebre raccolta di racconti orientali (di origine egiziana, mesopotamica, indiana e persiana), realizzata nel X secolo, di varia ambientazione storico-geografica, composta da differenti autori. Il numero 1000 non va preso alla lettera. Al contrario, "mille" significa in arabo "innumerevoli" e quindi 1000 significa un numero infinito. Successivi compilatori e traduttori presero questo numero alla lettera e, dividendo e aggiungendo fiabe, arrivarono a una raccolta che ne conteneva appunto mille[1].

È incentrata sul re persiano Shahriyār che, essendo stato tradito da sua moglie, uccide sistematicamente le sue spose al termine della prima notte di nozze. Un giorno Shahrazād, figlia maggiore del gran visir, decide di offrirsi volontariamente come sposa al sovrano, avendo escogitato un piano per placare l'ira dell'uomo contro il genere femminile. Così la bella e intelligente ragazza, per far cessare l'eccidio e non essere lei stessa uccisa, attua il suo piano con l'aiuto della sorella: ogni sera racconta al re una storia, rimandando il finale al giorno dopo. Va avanti così per "mille e una notte"; e alla fine il re, innamoratosi, le rende salva la vita.

Ciascuna delle storie principali delle Mille e una notte è quindi narrata da Shahrazād e questa narrazione nella narrazione viene riprodotta su scale minori con storie raccontate dai personaggi delle storie di Shahrazād e così via. Questo espediente narrativo, che ancora oggi ha nelle Mille e una notte uno dei suoi casi d'uso più illustri, è da alcuni paragonato al metateatro, così definito da Lionel Abel nel 1963 con riferimento al ruolo di Don Chisciotte della Mancia come prototipo di personaggio autoreferenziale.

Tale artificio del teatro nel teatro è spesso usato in epoca moderna, giungendo attraverso William Shakespeare fino a Luigi Pirandello. Nel 1300 Giovanni Boccaccio entra di diritto a far parte di tale gruppo portando questo tipo di racconto in Europa nel suo Decameron, dove la metanarrazione serve in molti casi a chiarire le posizioni dei protagonisti. È comunque possibile rintracciare le origini del metaracconto nella narrazione epica, per esempio alcuni canti dell'Odissea sono costituiti dai racconti fatti da Ulisse all'assemblea dei Feaci.

  1. ^ Dal libro di Bruno Bettelheim, Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, p. 86, ISBN 8807815818, ISBN 9788807815812.

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