Il mercato dell'arte o, meglio, i mercati dell'arte sono composti da artisti, acquirenti e mediatori o distributori.[1] "Dal punto di vista delle teorie economiche, l'opera d'arte è vista come una merce del tutto particolare", basata principalmente su unicità e irriproducibilità.[2]
Il campo artistico aggiunge ai normali mercati proprietà identificative e modalità funzionali proprie;[3] "in un universo digitale in cui i beni culturali possono essere facilmente clonati, l'unicità dell'opera d'arte assume un valore paragonabile a quello del patrimonio immobiliare. Le opere vengono considerate come investimenti sicuri, (...) apportando una 'maggiore liquidità' nel mercato".[4]
Inoltre si fa riferimento a "mercati" dell'arte poiché il plurale è diventato una conventio ad includendum[5] in grado di includere fenomeni eterogenei, analizzabili da metodi che distinguono i vari elementi delle diverse forme di regolazione delle transazioni.[6]
"La grande espansione del mercato dell'arte" è dovuta a vari fattori, a partire dall'accresciuta popolarità dell'arte: "l'innalzamento del livello medio d'istruzione comporta un maggiore interesse per i beni culturali più complessi, (...) la crescita di una cultura visiva (...) comporta una maggiore capacità di apprezzare il significato di un'immagine. (...) Infine, in un'epoca di globalizzazione, l'arte ha il vantaggio di varcare facilmente i confini (...). Paradossalmente, un'altra ragione per cui l'arte attira l'attenzione del grande pubblico è il fatto che sia diventata così costosa. Le quotazioni stratosferiche riportate a caratteri cubitali sui giornali contribuiscono a diffondere la concezione dell'arte come bene di lusso e come status symbol. (...) Il numero di persone che non si limita a collezionare, ma tende ad ammassare enormi quantità di opere d'arte, è passato da alcune centinaia ad alcune migliaia" tra la fine del XX e l'inizio del XXI secolo.[7]
Soltanto di recente i mercati dell'arte sono diventati oggetto di studio da parte di esperti di vari settori,[8] dopo decadi di imbarazzo e di omissioni dovute al contrasto fra la "nobiltà" dell'arte e il "vile" commercio:[9] la convinzione, definita "pessimismo culturale",[10] che il commercio corrompa la cultura,[11] tende a stemperarsi dopo gli anni Sessanta del Novecento, quando la proliferazione di musei d'arte contemporanea e il coinvolgimento dei loro direttori nell'ambito delle strategie del mercato rafforzano le quotazioni delle opere e la costruzione delle carriere degli artisti. Di conseguenza, se in passato la considerazione dell'opera d'arte come prodotto commerciale sembra esulare da una corretta analisi di storia dell'arte, "lo studio dell'interconnessione fra valore artistico e valore economico è di fondamentale importanza per comprendere il senso complessivo della produzione artistica".[12]
Del resto fin dal Rinascimento le forze economiche hanno influito su arte, letteratura e musica occidentali,[13] e anche il contesto storico e socio-culturale è fondamentale per la comprensione e l'apprezzamento di un'opera d'arte.[14]