Miniatura carolingia

Miniatura carolingia
Evangeliario di Godescalco, Cristo in maestà, tra il 781 e il 783 circa (Parigi, BnF, NAL 1203, f. 3 recto).
Idem, Fontana della vita e incipit (Parigi, BnF, NAL 1203, ff. 3v e 4r).

La miniatura carolingia fu una delle più importanti manifestazioni della cosiddetta Rinascenza carolingia; riguarda la produzione libraria miniata degli scriptoria annessi ai palazzi imperiali e ai centri monastici fondati da Carlo Magno, nel periodo compreso tra l'VIII e il IX secolo, quando cioè nell'Europa continentale s'interruppe la produzione di miniatura in stile insulare che aveva precedentemente dominato l'arte miniatoria in favore di un ritorno a modelli antico-romani e paleocristiani.

Anche la scrittura venne riformata e resa più leggibile, con caratteri ben distanziati e ordinati, come nella minuscola carolina.

Nel panorama dell'arte carolingia, la miniatura fu una delle arti verso cui maggiormente agì la spinta alla renovatio. Il libro rivestì infatti un'importanza fondamentale nell'organizzazione dell'Impero, essendo veicolo delle leggi scritte e del recupero del sapere antico. Per questo gli imperatori stessi furono grandi committenti di opere librarie, insieme ai personaggi ecclesiastici e laici variamente legati alla corte.

Appaiono contemporaneamente due modelli di illustrazione:[1]

  • il primo, di ispirazione bizantina, in cui sono raffigurati principalmente ritratti di Evangelisti o degli stessi imperatori, con pagine colorate con tinte brillanti ed estese dorature, di solito inserite all'interno di cornici architettoniche e staccate dallo sfondo. Insieme alla ricca decorazione del margine e delle iniziali questo stile fece da modello per l'ulteriore sviluppo della miniatura in occidente.
  • il secondo, usato per la rappresentazione di scene per lo più bibliche, denotava una maggiore libertà espressiva rispetto al tipo precedente distaccandosi dalla scuola bizantina.

Cronologicamente, si distinguono invece tre fasi. Una prima fase riguardò il monastero di Corbie, a nord di Parigi, in Piccardia, nel quale si iniziarono a produrre codici (come il Salterio di Corbie, della Biblioteca municipale di Amiens) caratterizzati da una equilibrata sintesi tra testo e immagini, derivata dalla scuola irlandese, con iniziali ornate da personaggi e mostri fantastici. Una seconda fase si registrò con la committenza di Ludovico il Pio, tramite la quale per la prima volta si cercò di penetrare l'arte antica anche riproducendone i caratteri stilistici. Ne sono un esempio gli Evangeli dell'Incoronazione (inizio del IX secolo. Una terza fase è rappresentata da un gruppo di codici provenienti forse da Reims (vangeli di Ebbone, ante 823, e il Salterio di Utrecht), dove si riscontra un'innovativa vitalità espressiva, come per esempio nelle vivide figurette dei codici di Ebbone (cacciatori, letterati, scalpellini, animali simbolici, piante, ecc) o nelle scenette del Salterio di Utrecht, dallo stile narrativo efficace.

L'importanza della miniatura carolingia è poi amplificata dal fatto che le opere di pittura murale del tempo (si è infatti dedotto che tutte le chiese, come i palazzi, fossero ricoperte di affreschi) sono in gran parte perdute e spetta pertanto agli splendidi manoscritti miniati, fortunatamente numerosi, testimoniare la vitalità e gli indirizzi culturali prevalenti nelle arti pittoriche dell'impero carolingio.[2] A prescindere da tale considerazione, è però evidente che «il pittore di corte, colto e raffinato, in questa età storica non è il pittore murale, è il miniatore, colui che decora con preziosità il testo a disposizione dei monaci o dei più o meno raffinati principi e cortigiani.»[3]


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