Nebulosa solare

Rappresentazione artistica di un sistema planetario in formazione.

L'ipotesi della nebulosa solare (SNDM, acronimo dell'inglese Solar Nebular Disk Model[1]) è il modello maggiormente accettato dalla comunità scientifica per spiegare la formazione del sistema solare e, più in generale, dei pianeti e dei sistemi planetari.[2] Nella sua prima formulazione, l'ipotesi fu proposta nel 1734 da Swedenborg[3] e successivamente ripresa e riadattata da Kant, che riconosce apertamente il suo debito nei confronti di Lucrezio[4], e Laplace, donde il nome alternativo di modello di Kant-Laplace.[5]

Il processo di formazione planetaria è strettamente legato a quello della formazione stellare, di cui costituisce un sottoprodotto. In accordo con il modello standard della formazione stellare, la nascita di una stella avviene attraverso il collasso di una nube molecolare, il cui prodotto è la protostella. Non appena la stella nascente conclude questa fase e fa ingresso nella pre-sequenza principale, il disco che ne ha mediato l'accrescimento diviene protoplanetario; la sua temperatura diminuisce, permettendo la formazione di piccoli grani di polvere costituiti da roccia (in prevalenza silicati) e ghiacci di varia natura, che a loro volta possono fondersi tra loro per dar luogo a blocchi di diversi chilometri, i planetesimi.[6] Se la massa del disco è sufficientemente grande, in un lasso di tempo astronomicamente breve (100 000–300 000 anni) i planetesimi possono fondersi tra loro per dar luogo a embrioni planetari, detti protopianeti, i quali, in un arco temporale compreso tra 100 milioni e un miliardo di anni, vanno incontro ad una fase di violente collisioni e fusioni con altri corpi simili; il risultato finale sarà la formazione di alcuni pianeti terrestri.[5]

La formazione dei giganti gassosi è invece un processo più complicato, che avverrebbe al di là della cosiddetta frost line,[7][8] regione popolata da un gran numero di protopianeti ghiacciati più grandi di quelli esclusivamente rocciosi.[2] Non è completamente chiaro cosa succeda in seguito alla formazione dei protopianeti ghiacciati; sembra tuttavia che alcuni di questi, in forza delle collisioni, crescano fino a raggiungere una massa di circa 10 masse terrestri – M,[9] superata la quale si innescherebbe un processo di accrescimento, simile a quello cui è andata incontro la stella ma su scala ridotta, a partire dall'idrogeno e dall'elio accumulatisi nelle regioni esterne del disco.[7][8] Questa fase si conclude con l'esaurimento dei gas disponibili. Successivamente il pianeta subisce, in seguito alle interazioni col disco residuo, un processo di migrazione orbitale, più o meno accentuato a seconda dell'entità delle interazioni.[7][10] Si ritiene che i giganti ghiacciati, come Urano e Nettuno, costituiscano dei "nuclei falliti", formatisi quando ormai gran parte dei gas erano stati esauriti.[5]

Non tutte le stelle sono in grado di creare le condizioni necessarie per consentire la formazione di pianeti: infatti, le stelle più massicce, di classe O e B,[11][12] emettono una quantità di radiazioni e vento tali da spazzare via completamente ciò che resta del disco di accrescimento, disperdendo dunque la materia prima per la formazione di nuovi pianeti.[13]

  1. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Woolfson1993
  2. ^ a b A. Zabludoff, Lecture 13: The Nebular Theory of the origin of the Solar System, su atropos.as.arizona.edu, University of Arizona. URL consultato il 27 dicembre 2006 (archiviato il 22 agosto 2011).
  3. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Swedenborg1734
  4. ^ P. Giordanetti, L'avventura della ragione. Kant e il giovane Nietzsche, Hildesheim, Olms, 2011, pp. 63-66.
  5. ^ a b c T. Montmerle, J.-C. Augereau, M. Chaussidon et al., Solar System Formation and Early Evolution: the First 100 Million Years, in Earth, Moon, and Planets, vol. 98, Spinger, 2006, pp. 39-95, DOI:10.1007/s11038-006-9087-5. URL consultato il 31 marzo 2011 (archiviato il 24 luglio 2013).
  6. ^ P. Goldreich, W. R. Ward, The Formation of Planetesimals, in Astrophysical Journal, vol. 183, 1973, p. 1051, DOI:10.1086/152291. URL consultato il 16 novembre 2006 (archiviato il 15 gennaio 2008).
  7. ^ a b c D. N. C. Lin, La genesi dei pianeti, in Le Scienze, vol. 479, luglio 2008, pp. 62-71. Articolo originale: D. N. C. Lin, The Chaotic Genesis of Planets, in Scientific American, vol. 298, n. 5, maggio 2008, pp. 50-59. URL consultato il 6 aprile 2011 (archiviato il 19 novembre 2008).
  8. ^ a b J. B. Pollack, O. Hubickyj, P. Bodenheimer, J. P. Lissauer, M. Podolak, Y. Greenzweig,, Formation of the Giant Planets by Concurrent Accretion of Solids and Gas, in Icarus, vol. 124, n. 1, novembre 1996, pp. 62-85. URL consultato il 10 maggio 2009 (archiviato il 20 giugno 2012).
  9. ^ B. Militzer, W. B. Hubbard, J. Vorberger, I. Tamblyn, S. A. Bonev, A Massive Core in Jupiter Predicted From First-Principles Simulations (PDF), vol. 688, n. 1, pp. L45-L48, DOI:10.1086/594364. URL consultato il 5 giugno 2009 (archiviato il 3 dicembre 2008).
  10. ^ F. S. Masset, J. C. B. Papaloizou, Runaway Migration and the Formation of Hot Jupiters, in The Astrophysical Journal, vol. 588, n. 1, maggio 2003, pp. 494-508, DOI:10.1086/373892. URL consultato il 5 giugno 2009 (archiviato il 29 giugno 2021).
  11. ^ Tables 1 - 4, F. Martins, D. Schaerer, D. J. Hiller, A new calibration of stellar parameters of Galactic O stars, in Astronomy & Astrophysics, vol. 436, 2005, pp. 1049-1065, DOI:10.1051/0004-6361:20042386. URL consultato il 29 giugno 2021 (archiviato il 9 luglio 2019).
  12. ^ Table 5, W. D. Vacca, C. D. Garmany, J. M. Shull, The Lyman-Continuum Fluxes and Stellar Parameters of O and Early B-Type Stars, in Astrophysical Journal, vol. 460, aprile 1996, pp. 914-931, DOI:10.1086/177020. URL consultato il 12 ottobre 2011 (archiviato il 30 giugno 2014).
  13. ^ L. Vu, Planets Prefer Safe Neighborhoods, su spitzer.caltech.edu, Spitzer Science Center, 3 ottobre 2006. URL consultato il 1º settembre 2007 (archiviato dall'url originale il 13 luglio 2007).

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