La Bibbia ebraica non ha alcuna definizione dell'anima. La parola ebraica nefeš (נפש) è fondamentale per l'antropologia biblica. Essa ricorre nelle Scritture 755 volte. La versione greca dei LXX la traduce per 600 volte con psyché [ψυχή] e le restanti 155 con altri termini. Già da ciò ci è possibile comprendere che anche i Settanta che, secondo la tradizione, tradussero la Bibbia dall'ebraico al greco avevano riconosciuto una diversità di significati in alcuni passi biblici.
Il lettore italiano conosce nefeš con la traduzione di anima che si rifà, però, all'influsso ellenico e alla traduzione latina (Vulgata) delle Scritture e non all'originale ebraico. Nella Bibbia ebraica nefeš fu senza alcun dubbio adoperata sin dall'inizio in riferimento all’essere umano e per descriverlo in alcune sue peculiarità. Essa compare per la prima volta in tal senso in Genesi 2,7[1], ove si legge:
«allora il Signore Dio plasmò l'uomo [הָאָדָם (haadâm), "il terroso"]
con polvere del suolo [אֲדָמָה (adamâh)]
e soffiò nelle sue narici un alito di vita [נִשְׁמַת חַיִּים (nišmàt chayìym), "soffio di vita"],
e l'uomo [הָאָדָם (haadâm), "il terroso"] divenne un essere vivente [חַיָּה נֶפֶשׁ ( chayàh nèfeš )].»
Nefeš è vista in stretta relazione con la forma complessiva dell'essere umano. Per questo possiamo dire che la persona non ha nefeš, ma che essa è nefeš e vive come tale.
Ma la parola ebraica non ha riferimenti alla parola greca psyché [ψυχή], che viene introdotta in Grecia da Platone per dare un senso a quella parte dell'uomo che costituisce 'un organo che pensa'. I latini, esemplificarono e travisarono il concetto di "psichè", traducendola con la parola 'anima', quindi in realtà la parola nefesh non trova la stessa corrispondenza nella parola psichè, bensì possiede un altro e più esteso significato.