Paesi Bassi nella seconda guerra mondiale

La città di Rotterdam dopo il bombardamento avvenuto con l'invasione tedesca dei Paesi Bassi nel maggio 1940
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La storia dei Paesi Bassi durante la seconda guerra mondiale iniziò con l'invasione tedesca avvenuta il 10 maggio 1940. Il 15 maggio 1940, il giorno seguente al bombardamento di Rotterdam, le forze armate dei Paesi Bassi si arresero. La regina Guglielmina, la famiglia reale e un nucleo di circa 5 000 funzionari governativi e militari si rifugiarono a Londra, costituendo un governo in esilio.

A seguito della resa, i Paesi Bassi finirono sotto l'occupazione nazista, che durò, in alcune aree, fino alla resa tedesca presso la landa di Luneburgo avvenuta il 4 maggio 1945. I nazisti, subito dopo l'occupazione, instaurarono rapidamente un governo fantoccio, razionarono il cibo, ritirando le tessere di razionamento quale punizione. Imposero, inoltre, che ogni adulto di età compresa tra i 18 e i 45 anni andasse a lavorare nelle fabbriche tedesche o nei lavori pubblici.

Gli abitanti dei Paesi Bassi in larga maggioranza accettarono inizialmente l'occupazione e alcuni si dimostrarono zelanti collaborazionisti. I nazisti, d'altra parte, li consideravano come loro fratelli ariani e, sempre nelle prime fasi dell'occupazione, adottarono comportamenti meno spietati nei Paesi Bassi rispetto ad altre nazioni occupate.

La resistenza attiva fu portata avanti da una piccola minoranza che crebbe nel corso del tempo; così come in Germania, molti dei suoi membri provenivano da formazioni politiche socialdemocratiche, comuniste e cattoliche. La conformazione del territorio, la mancanza di foreste e montagne e la densità della popolazione ostacolarono le attività della resistenza, poiché risultava difficile nasconderne le attività; inoltre, il Paese era completamente circondato da territori controllati dai tedeschi. Il coinvolgimento nella resistenza comportava l'immediata esecuzione, se scoperti. Nel prosieguo della guerra, con il peggiorare delle condizioni, la resistenza divenne sempre più forte e organizzata.

I tedeschi, con la cooperazione della polizia locale, deportarono la popolazione ebraica nei campi di concentramento; i Paesi Bassi, più di ogni altro territorio occupato, videro uno dei più alti livelli di collaborazionismo durante l'olocausto. Il 75% degli ebrei del Paese furono uccisi durante il conflitto; una percentuale molto più alta di altri paesi occupati paragonabili, quali Belgio e Francia.[1]

Buona parte del sud del Paese fu liberata nella seconda metà del 1944. Il resto, in particolare la parte occidentale, ancora sotto l'occupazione tedesca, soffrì un lungo inverno di fame e carestia, ricordato come Hongerwinter (inverno della fame). Il 5 maggio 1945, i Paesi Bassi furono infine liberati nella loro interezza in seguito alla resa totale delle forze tedesche.

Alla fine della guerra, si poterono contare ben 205 901 uomini e donne dei Paesi Bassi uccisi. I Paesi Bassi ebbero il più alto rapporto pro capite di morti rispetto alla popolazione residente di tutti gli altri paesi dell'Europa occidentale occupati dai nazisti, il 2,36%. Altri 30 000 nelle Indie orientali olandesi perirono per mano dei giapponesi, sia in combattimento sia in campi di prigionia. Negli stessi campi furono internati non solo militari, ma anche civili olandesi.

  1. ^ (EN) Benjamin Weinthal, Anti-semitic stereotypes in Dutch paper spark anger, in The Jerusalem Post, 17 gennaio 2012. URL consultato il 15 gennaio 2014.

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