Positivismo logico

«La concezione scientifica del mondo non conosce enigmi insolubili. Il chiarimento delle questioni filosofiche tradizionali conduce, in parte, a smascherarle quali pseudo-problemi; in parte, a convertirle in questioni empiriche, soggette, quindi, al giudizio della scienza sperimentale»

Il positivismo logico, anche noto come neopositivismo, neoempirismo o empirismo logico, è una corrente filosofica che sorge nella prima metà del Novecento con il Circolo di Vienna, basata sul principio che la filosofia debba aspirare al rigore metodologico proprio della scienza. Come si deduce dal nome, alla sua base stanno i concetti tipici del metodo scientifico di “empirico”, ossia relazionato all'esperienza, e “logico”, dal momento che i suoi sostenitori ritengono che la conoscenza debba essere analizzata secondo i criteri logici propri dell'analisi del linguaggio che assicurino alle proposizioni un preciso significato dotato di senso.

Gli empiristi logici sostengono che la risoluzione degli equivoci e delle ambiguità legate al linguaggio conduca alla risoluzione degli stessi problemi filosofici: il loro sorgere dipenderebbe infatti da un uso scorretto/improprio delle parole che darebbe vita a molteplici possibili interpretazioni e/o mancanza di senso logico. La filosofia deve avere un ruolo chiarificatore: non può essere un sapere puramente teorico-speculativo, ma basarsi sull'esperienza per poter fondare in maniera rigorosa la conoscenza[1]. Centrale in questo senso è il tema del verificazionismo e del suo principio di verificazione come soluzione epistemologica al problema della demarcazione tra scienza, pseudoscienze e metafisica.

  1. ^ Paolo Parrini, Empirismo logico e convenzionalismo. Saggio di storia della filosofia della scienza, Franco Angeli, Milano, 1983

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