Sacco di Amorio

Sacco di Amorio
parte delle guerre arabo-bizantine
Miniatura tratta dal Madrid Skylitzes raffigurante l'assedio arabo di Amorio
Dataagosto 838
LuogoAmorio
EsitoCittà espugnata e rasa al suolo dagli Abbasidi
Schieramenti
Comandanti
Imperatore Teofilo
Ezio
Califfo al-Mu'tasim
Afshin
Ashinas
Effettivi
ca. 40 000 nell'esercito di campo,[1] ca. 30 000 ad Amorio[2]80 000[3]
Perdite
30 000–70 000 (inclusi sia civili che militari)[4][5]Ignote.
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Il sacco di Amorio avvenuto a metà agosto 838 ad opera del Califfato abbaside fu uno degli avvenimenti più importanti nella lunga storia delle guerre arabo-bizantine. La campagna abbaside fu condotta personalmente dal Califfo al-Mu'tasim (r. 833–842), in risposta a una spedizione vittoriosa lanciata dall'Imperatore d'Oriente Teofilo (r. 829–842) nella zona di frontiera del Califfato l'anno precedente. Il bersaglio della campagna di Mu'tasim fu Amorio, una città bizantina nell'Asia Minore occidentale (moderna Anatolia), non solo in quanto luogo di origine della dinastia bizantina regnante ma anche perché costituiva, all'epoca, una delle città più grandi e importanti dell'Impero bizantino. Il califfo allestì un esercito eccezionalmente imponente, che divise in due parti. Il grosso delle forze abbasidi penetrò in profondità nell'Asia Minore bizantina, mentre l'esercito settentrionale sconfisse l'armata bizantina condotta da Teofilo nella Battaglia di Anzen. Le truppe abbasidi quindi si riunirono in prossimità di Ancyra, che trovarono abbandonata. Dopo aver saccheggiato la città, si diressero a sudovest in direzione di Amorio, dove arrivarono il 1º agosto. Dovendo fronteggiare numerosi intrighi a Costantinopoli, nonché la rivolta del consistente contingente khurramita del suo esercito, Teofilo non fu in grado di intervenire in soccorso della città.

Amorio era potentemente fortificata e guarnita di truppe, ma un traditore svelò un punto in cui le mura erano deboli, dove gli Abbasidi concentrarono il loro attacco, aprendo una breccia. Incapace di resistere all'esercito assediante, il comandante delle truppe poste a difesa della parte delle mura dove si era aperta la breccia tentò privatamente di negoziare con il Califfo. Lasciò il suo posto, il che avvantaggiò gli Arabi, che entrarono in città e la conquistarono. Amorio fu sistematicamente distrutta, e non recupero più la precedente prosperità. Molti dei suoi abitanti vennero massacrati, mentre il resto venne deportato in schiavitù. Molti dei superstiti vennero liberati in seguito a una tregua nell'841, ma ufficiali importanti furono deportati alla capitale califfale, Samarra, e quivi giustiziati anni dopo, per essersi rifiutati di convertirsi all'Islam: essi divennero poi noti come i quarantadue martiri di Amorio.

La conquista di Amorio rappresentò non solo una disfatta militare e un duro colpo per il prestigio di Teofilo, ma anche un avvenimento traumatico per i Bizantini, e molti furono i riferimenti a questo episodio nella letteratura successiva. Il sacco non alterò comunque l'equilibrio delle forze in gioco, che stava lentamente ma gradualmente cambiando in favore di Bisanzio, ma in ogni caso screditò la dottrina teologica dell'Iconoclastia, ardentemente sostenuta da Teofilo. Poiché l'Iconoclastia contava sui successi militari per la sua legittimazione, la caduta di Amorio contribuì in modo decisivo al suo abbandono una volta spentosi Teofilo nell'842.

  1. ^ Treadgold 1988, p. 298.
  2. ^ Treadgold 1988, pp. 444–445 (Nota #415).
  3. ^ Treadgold 1988, p. 297.
  4. ^ Ivison 2007, p. 31.
  5. ^ Treadgold 1988, p. 303.

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