Spoliazioni napoleoniche

Ingresso a Parigi del corteo delle opere oggetto delle spoliazioni Napoleoniche dopo la prima Campagna d'Italia
Ricostruzione della Trinità adorata dalla famiglia Gonzaga di Peter Paul Rubens quale essa poteva apparire prima di essere tagliata dai francesi
Scuola di Atene, Raffaello, Vaticano. I funzionari napoleonici espressero l'obiettivo di staccare gli affreschi di Raffaello in Vaticano.

Le spoliazioni napoleoniche[1][2], note anche come furti napoleonici[3][4], furono una serie di sottrazioni di beni, in particolare opere d'arte e in genere di opere preziose, attuate dall'esercito francese o da funzionari napoleonici in Italia, Spagna, Portogallo, Paesi Bassi, Belgio, ed Europa centrale durante l'età napoleonica. Le spoliazioni vennero costantemente perpetrate nell'arco di venti anni, dal 1797 fino al Congresso di Vienna nel 1815. Secondo lo storico Paul Wescher, le spoliazioni napoleoniche rappresentarono "il più grande spostamento di opere d'arte della storia", che provocò anche diversi danni in quanto "è difficile stabilire con esattezza quante opere d'arte di valore unico andarono distrutte o disperse in quei giorni"[5].

«Cittadino generale, il Direttorio esecutivo è convinto che per voi la gloria delle belle arti e quella dell'armata ai vostri ordini siano inscindibili. L'Italia deve all'arte la maggior parte delle sue ricchezze e della sua fama; ma è venuto il momento di trasferirne il regno in Francia, per consolidare e abbellire il regno della libertà. Il Museo nazionale deve racchiudere tutti i più celebri monumenti artistici, e voi non mancherete di arricchirlo di quelli che esso si attende dalle attuali conquiste dell'armata d'Italia e da quelle che il futuro le riserva. Questa gloriosa campagna, oltre a porre la Repubblica in grado di offrire la pace ai propri nemici, deve riparare le vandaliche devastazioni interne sommando allo splendore dei trionfi militari l'incanto consolante e benefico dell'arte. Il Direttorio esecutivo vi esorta pertanto a cercare, riunire e far portare a Parigi tutti i più preziosi oggetti di questo genere, e a dare ordini precisi per l'illuminata esecuzione di tali disposizioni.»

«La Repubblica francese, con la sua forza e la superiorità del lume e dei suoi artisti, è l'unico paese al mondo che può dare una dimora sicura a questi capolavori. Tutte le altre nazioni devono venire a prendere in prestito dalla nostra arte.»

Durante il Congresso di Vienna, le potenze vincitrici ordinarono l'immediata restituzione di tutte le opere sottratte, «senza alcun negoziato diplomatico», sostenendo come «la spoliazione sistematica di opere d'arte è contraria ai principi di giustizia e alle regole della guerra moderna». Venne infine affermato il principio di come non ci potesse essere alcun diritto di conquista che permettesse alla Francia di detenere il frutto di spoliazioni militari e che tutte le opere d'arte dovessero essere restituite.[6]

Secondo la storica Mackay Quynn[7], gli stati europei, ma specialmente quelli italiani separati dalle Alpi dalla Francia, si trovarono davanti ad elevatissimi costi di trasporto e all'ostinata resistenza dell'amministrazione francese. I Prussiani, vedendosi negato l'accesso alle gallerie del Musée Napoléon, minacciarono di spedire in prigione in Prussia il Direttore Vivant Denon in persona se questi non avesse lasciato agire i propri ufficiali. La strategia dovette funzionare, se in meno di qualche settimana tutti i capolavori dei Prussiani erano pronti per l'imballaggio fuori dai cancelli dell'ex Musée Napoléon, divenuto Louvre[8]. La Spagna inviò funzionari dell'esercito insieme a un discreto numero di militari prima delle conclusioni del Congresso di Vienna, i quali, rompendo i portoni del Louvre, si ripresero tutte le opere con la forza. Anche Belgio ed Austria mandarono il proprio esercito, senza attendere la conclusione del Congresso di Vienna. Giova ricordare come i furti napoleonici ebbero lunghi strascichi nella storia europea. Durante la guerra franco-prussiana, la Germania di Bismarck chiese alla Francia di Napoleone III la restituzione delle opere d'arte ancora detenute dai tempi delle spoliazioni napoleoniche ma che non erano state restituite. Per quanto riguarda gli Stati italiani, questi si mossero lentamente e in maniera non coordinata, tranne lo Stato della Chiesa che inviò a Parigi Antonio Canova, il quale scelse le opere da far rientrare in Italia.

In Italia le spoliazioni napoleoniche erano sconfinate nelle ruberie e in speculazioni da parte di funzionari del nuovo Stato. Alla ricerca di oro e di argento, gli ufficiali francesi fusero il Gioiello di Vicenza del Palladio, e tentarono pure di fondere le opere del maestro orafo manierista Benvenuto Cellini[9]. I francesi cercarono in diverse occasioni di sviluppare delle tecniche che consentissero loro il distacco degli affreschi, con notevoli danni strutturali sia alle opere sia ai muri. Nel 1800 si tentò con la Deposizione di Daniele da Volterra nella cappella Orsini di Trinità dei Monti a Roma attraverso lo stacco a massello che provocò danni così seri all'intera struttura che la rimozione dovette essere interrotta e il muro restaurato da Pietro Palmaroli, rinunciando a spedirlo a Parigi. Simili tentativi vennero effettuati presso la Chiesa di san Luigi dei Francesi, ma vennero abbandonati per i danni arrecati agli affreschi. Secondo lo storico dell'arte Steinmann (che scrisse nel primo dopoguerra, violentemente antifrancese), questi tentativi non vanno intesi come episodi isolati, poiché il vero obiettivo degli ufficiali francesi era di riuscire a distaccare gli affreschi di Raffaello nelle Stanze Vaticane e di spedire in Francia la Colonna Traiana[10].

Per la Lombardia e il Veneto, che erano sotto gli Asburgo d'Austria, il governo di Vienna negoziò ma non richiese le opere d'arte portate via dalle chiese, che gli stessi austriaci non intendevano riaprire al culto, come l'Incoronazione di spine di Tiziano, commissionata per la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano, che non fu restituita perché non fu richiesta ufficialmente al Governo francese. Il governo toscano, sotto gli Asburgo-Lorena, non richiese i capolavori sottratti alle chiese sostenendo che sarebbero serviti a pubblicizzare la grandiosità dell'arte toscana, lasciando così in Francia capolavori assoluti quali le stigmate di San Francesco di Giotto, la Maestà di Cimabue o L'Incoronazione della Vergine del Beato Angelico. Per Parma, sotto il governo della moglie di Napoleone, Maria Luigia, si adottò un'istanza mediatrice, lasciando metà delle opere in Francia e rimpatriandone l'altra metà. Il governo pontificio preferì non richiedere tutto, soprattutto i quadri conservati nei musei delle province francesi, come molti Perugino sottratti alle chiese di Perugia, per non turbare la ri-cristianizzazione delle campagne francesi uscite dal giacobinismo. Antonio Canova, delegato dallo Stato della Chiesa ai rimpatri, era dotato di documentazione archivistica assai limitata e si affidava ai funzionari dell'esercito austriaci. Secondo un catalogo pubblicato nel Bulletin de la Société de l'histoire de l'art français del 1936, dei 506 dipinti portati in Francia, 248 rimasero in Francia, 249 tornarono in Italia, 9 vennero indicati come non rintracciabili[11], raro caso in Europa di opere catalogate e non restituite.[12]

I cavalli bronzei di piazza San Marco vengono inviati a Parigi. Venezia, 1797.
  1. ^ Mauro Carboni, La spoliazione napoleonica (archiviato dall'url originale il 29 ottobre 2013).
  2. ^ B. Cleri, C. Giardini, L'arte conquistata: spoliazioni napoleoniche dalle chiese della legazione di Urbino e Pesaro, Artioli, 2010 ISBN 978-8877920881
  3. ^ Wescher 1988.
  4. ^ Marco Albera, I furti d'arte. Napoleone e la nascita del Louvre., Cristianità n. 261-262, 1997
  5. ^ Wescher 1988, pp. ???[non chiaro]
  6. ^ (EN) Hui Zhong, China, Cultural Heritage, and International Law, Routledge, 27 novembre 2017, ISBN 978-1-351-60569-4. URL consultato il 19 maggio 2020.
  7. ^ Mackay Quynn 1945.
  8. ^ Saunier 1902, p. 202.
  9. ^ Tra Napoleone e Canova. Quelle opere che tornarono dal "Museo Universale", su la Repubblica, 15 dicembre 2016. URL consultato il 7 settembre 2020.
  10. ^ Steinmann, E., “Die Plünderung Roms durch Bonaparte”, Internationale Monatsschrift für Wissenschaft, Kunst und Technik, 11/6-7, Leipzig ca. 1917, p. 1-46, p. 29..
  11. ^ Blumer 1936, pp. 347-348.
  12. ^ Tra Napoleone e Canova. Quelle opere che tornarono dal "Museo Universale", su Repubblica.it, 15 dicembre 2016. URL consultato il 9 marzo 2019.

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