La storia dell'Egitto ayyubide, iniziata dopo la fine della dominazione fatimide, s'impersonifica nella figura di Saladino (Salāh al-Dīn ibn Ayyūb) che, nell'ultimo periodo fatimide, era diventato visir in Egitto, grazie alla potenza espressa da Norandino (Nūr al-Dīn ibn Zankī) per il tramite del suo generale Shīrkūh.
All'improvvisa morte del comandante curdo di Norandino (23-3-1169) il comando delle truppe zengidi in Egitto, col beneplacito di quest'ultimo, passò al nipote di Shīrkūh: Saladino, appunto.
L'uomo era dotato di straordinarie qualità, umane, culturali e militari che gli fecero guadagnare la più rispettosa considerazione dei suoi stessi avversari Crociati e di una certa letteratura britannica ottocentesca (Sir Walter Scott innanzi tutto) che diffusero ampiamente la sua fama nell'Occidente cristiano fino ai nostri giorni.
Finché visse il suo signore, Saladino non ruppe mai il suo vincolo di subordinazione al sovrano zengide, amministrando per suo conto l'Egitto dopo aver provveduto a dichiarare estinta la dinastia fatimide dopo la morte nel settembre del 1171 dell'ultimo Imām, al-‘Adīd, facendo formale atto di ubbidienza spirituale al sunnita califfo abbaside al-Mustadi'.
Quando però Norandino a sua volta morì (15 maggio 1174) nulla più trattenne il suo generale curdo dal rivendicare la più completa indipendenza e dal cercare anzi di sottomettere al proprio controllo i possedimenti zangidi ereditati nel frattempo dai figli del suo defunto signore: Aleppo e Mosul.