Toussaint Louverture

Toussaint Louverture

Governatore generale di Saint-Domingue
Durata mandato1º aprile 1797; 7 luglio 1801 (inizio del mandato a vita secondo la sua Costituzione) –
6 maggio 1802
PredecessoreLéger-Félicité Sonthonax (commissario)
SuccessoreCharles Leclerc

Dati generali
Partito politicoGiacobini
FirmaFirma di Toussaint Louverture

François-Dominique Toussaint Louverture, conosciuto anche come Toussaint L'Ouverture o Toussaint Bréda (Port-Margot, 20 maggio 1743Fort-de-Joux, 7 aprile 1803), è stato un rivoluzionario haitiano.

Ex schiavo, guidò la rivolta degli schiavi di Saint-Domingue (oggi Haiti).[1] Il suo acume militare e politico seppe salvare gli ideali della prima rivoluzione haitiana nel novembre 1791. Egli combatté dapprima per gli spagnoli contro la Francia e poi per la Francia contro Spagna e Gran Bretagna. Combatté infine per Haiti contro la Francia napoleonica. Risultò fondamentale nella trasformazione dei primi moti rivoluzionari in una vera e propria rivoluzione che nel 1800 scoppiò a Santo Domingo, la più prospera colonia di schiavi dell'epoca, nella prima vera e propria società libera coloniale con l'esplicito rifiuto della razza come base di scala sociale.

Sebbene Toussaint non avesse tagliato i legami con la Francia, le sue azioni nel 1800 portarono de facto alla proclamazione di una colonia autonoma. La costituzione della colonia che lo proclamò a vita al ruolo di governatore, si scontrò con i desideri di Napoleone Bonaparte.[2] Egli morì prima della conclusione degli scontri armati, ma il suo impegno consentì nel gennaio del 1804 a Jean-Jacques Dessalines di ottenere un'assoluta vittoria sui francesi, proclamando lo stato sovrano di Haiti. La principale conquista di Toussaint nell'operazione haitiana fu la vittoria sul colonialismo e la schiavitù che gli guadagnarono l'amicizia di molti ed il biasimo di altri.[3][4]

Toussaint Louverture iniziò la propria carriera militare proprio nel 1791 come capo della rivoluzione di schiavi nella colonia francese di Saint-Domingue; all'epoca egli era un uomo libero ed aveva aderito al movimento dei Giacobini.[5] Inizialmente alleato con gli spagnoli della vicina Santo Domingo (attuale Repubblica Dominicana), Toussaint cambiò alleanza con i francesi quando questi abolirono la schiavitù. Egli gradualmente ottenne il controllo dell'intera isola sfruttando tattiche politiche e militari per sopraffare gli avversari. Negli anni che fu al potere, lavorò alacremente per migliorare l'economia e la sicurezza dell'isola. Restaurò il sistema delle piantagioni utilizzando però il lavoro stipendiato regolarmente, negoziando trattati commerciali col Regno Unito e gli Stati Uniti, mantenendo su tutto un esercito grande e ben disciplinato.[6]

Nel 1801, promulgò una costituzione autonoma per la colonia che lo nominava Governatore Generale a vita. Nel 1802 venne costretto a dimettersi dalle truppe francesi inviate sul posto da Napoleone Bonaparte per restaurare la piena autorità francese sull'ex colonia. Venne deportato in Francia dove morì nel 1803. La rivoluzione haitiana continuò sotto il suo luogotenente, Jean-Jacques Dessalines, che dichiarò l'indipendenza dell'isola il 1º gennaio 1804. I francesi avevano perso i due terzi delle loro forze sull'isola nel tentativo di reprimere la rivoluzione, gran parte di questi a causa di una tremenda epidemia di febbre gialla.[6] La repubblica di Haiti fu il primo Stato nero della storia moderna.

  1. ^ J. Clavin, Matthew, Toussaint Louverture and the American Civil War: The Promise and Peril of a Second Haitian Revolution, University of Pennsylvania Press, 2012, p. 229, ISBN 978-0-8122-0161-1.
  2. ^ Popkin, Jeremy D., A Concise History of the Haitian Revolution, John Wiley & Sons, 2012, p. 114, ISBN 978-1-4051-9821-9.
  3. ^ Matthewson; "Abraham Bishop, "The Rights of Black Men", and the American Reaction to the Haitian Revolution"; The Journal of Negro History, Vol 67, No 2, Summer 1982, pp.148–154
  4. ^ Elliott, Charles Wyllys, St. Domingo, its revolution and its hero, Toussaint, New York, J.A. Dix, 1855, p. 38.
  5. ^ Vulliamy, Ed (a cura di), The 10 best revolutionaries, su theguardian.com, The Guardian, 28 agosto 2010. URL consultato il 15 dicembre 2015.
  6. ^ a b Cauna, pp.7–8

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