Transizione tra Ming e Qing

Transizione tra Ming e Qing
La decisiva battaglia del passo Shanhai del 1644
Data1618 - 1683
LuogoManciuria, Cina delle 18 province
EsitoVittoria schiacciante dei Qing e nascita della dinastia Qing
Collasso della dinastia Ming
Collasso della dinastia Shun
Schieramenti
Dinastia QingDinastia Ming sostenuta da:
Joseon (Corea)
Dinastia Yuan settentrionale (1618–1635) (Mongoli)
Chagatai Khanato Yarkent (1646–1650) (Uiguri)
Khanato Kumul
Khanato Turfan
Shogunato Tokugawa (Giappone)
Dinastia Shun
Comandanti
Effettivi
Diversi:
Manciù
Mongoli
Han delle Otto Bandiere
Han dell'Esercito dello Stendardo Verde disertori (dopo il 1644)
Dal 1648 gli Han cinesi costituivano il 75% dell'esercito delle Otto Bandiere mentre i Manciù erano solo il 16%.
Diversi sconosciutiEsercito dell dinastia Shun oscillante tra 60.000 e 100.000 uomini
Perdite
SconosciuteSconosciuteSconosciute
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La transizione da Ming a Qing o transizione Ming–Qing, nota anche come conquista della Cina da parte dei manciù, fu un lungo conflitto tra la dinastia Qing, fondata dal clan manciù Aisin Gioro in Manciuria (attuale Cina di nordest), e la dinastia Ming, della Cina del sud, alleata di altre potenze regionali o temporanee, col coinvolgimento della breve dinastia Shun. In vista della conquista da parte dei Qing, nel 1618, il capo dell'Aisin Gioro, Nurhaci, commissionò un documento intitolato Sette lagnanze, che enumerava le lamentele contro i Ming e cominciava a ribellarsi contro il loro dominio. Molte delle lamentele riguardavano i conflitti contro Yehe, che era un importante clan manciù, e il favoritismo dei Ming di Yehe. La richiesta di Nurhaci che i Ming gli pagassero dei tributi per rimediare alle sette lamentele fu in effetti una dichiarazione di guerra, poiché i Ming non erano disposti a pagare denaro a un ex tributario. Poco dopo, Nurhaci iniziò a ribellarsi contro i Ming a Liaoning nel sud della Manciuria.

Allo stesso tempo, la dinastia Ming stava combattendo per la sua sopravvivenza contro le turbolenze fiscali e le ribellioni contadine. Il 24 aprile 1644 Pechino cadde sotto la spinta di un esercito ribelle guidato da Li Zicheng, un ex ufficiale minore dei Ming che divenne il capo della rivolta contadina, che proclamò la dinastia Shun. L'ultimo imperatore Ming, Chongzhen, si impiccò ad un albero del giardino imperiale al di fuori della Città Proibita. Quando Li Zicheng si mosse contro di lui, il generale Ming Wu Sangui cambiò la sua alleanza con i manciù. Li Zicheng fu sconfitto alla Battaglia del passo Shanhai dalle forze congiunte di Wu Sangui e del principe manciù Dorgon. Il 6 giugno, i manciù e Wu entrarono nella capitale e proclamarono il giovane imperatore Shunzhi come Imperatore della Cina.

Tuttavia, la conquista fu tutt'altro che completa e richiese quasi quarant'anni prima che tutta la Cina fosse saldamente unita sotto il dominio dei Qing. Kangxi salì al trono nel 1661 e nel 1662 i suoi reggenti lanciarono la Grande pulizia per sconfiggere la resistenza dei fedelissimi dei Ming nel sud della Cina. Dovettero poi combattere diverse ribellioni, come la Rivolta dei Tre Feudatari guidata da Wu Sangui nel sud della Cina, a partire dal 1673, e poi contrastata dal lancio di una serie di campagne che portarono all'espansione del suo impero. Nel 1662 Coxinga scacciò i coloni olandesi e fondò il Regno di Tungning a Taiwan, uno stato lealista dei Ming con l'obiettivo di riconquistare la Cina. Tuttavia, il regno di Tungning fu sconfitto nel 1683 alla Battaglia di Penghu dall'ammiraglio Han Shi Lang, un ex ammiraglio di Coxinga.

La caduta della dinastia Ming fu in gran parte causata da una combinazione di fattori. Kenneth Swope sostiene che un fattore chiave fu il deteriorando delle relazioni tra l'imperatore Ming e i capi militari dell'Impero.[1] Altri fattori furono le ripetute spedizioni militari a nord, pressioni inflazionistiche causate dalla spesa eccessiva da parte del tesoro imperiale, disastri naturali ed epidemie. A contribuire ulteriormente al caos fu una ribellione contadina a Pechino nel 1644 e una serie di imperatori deboli. Il potere dei Ming si protrasse ancora per anni in quello che oggi è il sud della Cina, anche se alla fine venne definitivamente debellato dai manciù.[2]

  1. ^ Kenneth M. Swope, The Military Collapse of China's Ming Dynasty, 1618-44 (Routledge: 2014)
  2. ^ Lillian M. Li, Alison Dray-Novey and Haili Kong, Beijing: From Imperial Capital to Olympic City (MacMillan, 2008) pg. 35

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