A partire dal XIX secolo i vampiri sono stati oggetto di sempre più frequenti rivisitazioni letterarie, cinematografiche e televisive.
Le prime opere di fantasia furono alcune poesie del XVIII secolo e altri racconti brevi del XIX secolo, il più influente dei quali è Il vampiro di John Polidori (1819), che narrava del vampiro Lord Ruthven. Il personaggio venne poi ripreso da alcune opere teatrali, in cui interpretava il ruolo di anti-eroe. Il tema vampiresco continuò con penny dreadful (pubblicazioni seriali economiche di racconti) come Varney il vampiro (1847) è culminò con il romanzo vampiresco più celebre di tutti i tempi: Dracula (1897), scritto da Bram Stoker[1].
Col passare del tempo, alcune caratteristiche non presenti nel folclore originale sono state incorporate nel profilo del vampiro: canini appuntiti e vulnerabilità alla luce del sole apparirono per la prima nel XIX secolo con i denti sporgenti di Varney il vampiro e del Conte Dracula[2] e la paura della luce del giorno del vampiro Nosferatu di Friedrich Wilhelm Murnau (1922)[3]. Il mantello apparve in produzioni teatrali degli anni venti del XX secolo, con un alto collare bianco introdotto dallo sceneggiatore Hamilton Deane per aiutare Dracula a svanire dal palcoscenico[4]. Lord Ruthven e Varney, inoltre, potevano essere curati dalla luce della luna[5]. L'immortalità è un attributo presente anche nel folclore originario, anche se non sempre in modo esplicito, ed è largamente usato nelle opere cinematografiche e letterarie moderne[6].